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L'opposizione alla guerra in Russia

Yurii Colombo

opposRusssia

Secondo Levada, una delle società di sondaggi russe più importanti, il 24 febbraio 2022, all’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina il 59% della popolazione era favorevole all’intervento, il 22% era contraria, e quasi il 20% non aveva una posizione definita.

Tuttavia, con il passare delle settimane e il prolungamento di quella che in Russia non si può definire “guerra” ma solo “operazione speciale” (per cui si può essere condannato dai 3 a15 anni di reclusione), gli umori, anche di chi sosteneva senza tentennamento l’intervento, sono iniziati a mutare.

In primo luogo pesano le immagini che – seppur non trasmesse dalla Tv più o meno di stato – giungono sui bombardamenti e i massacri di civili che filtrano dai social network. Questi due popoli ora nemici non solo hanno comuni legami di tipo etnico ma hanno sviluppato nei decenni sovietici delle relazioni familiari molto strette.

Si è calcolato che sono 14 milioni gli ucraini e I russi che hanno legami familiari tra loro e ben 3 milioni di ucraini lavorano in Russia (come dipendenti fissi o stagionali).

Inoltre il peso delle gigantesche sanzioni (“senza precedenti” le ha definite lo stesso portavoce del presidente russo Dmitry Peskov) preoccupano non poco I cittadini russi.

Gli effetti distruttivi delle sanzioni dal punto di vista occupazionale, sono già cruda realtà. Dal 4 marzo la compagnia aerea “S7” ha cancellato tutti i voli internazionali (anche quelli in aree del mondo dove i cieli restano aperti) e buona parte di quelli nazionali e già si parla di bancarotta. “Aeroflot” – la compagnia di Stato – ha visto cancellate buona parte delle rotte internazionali e sarà costretta a ridurre gran parte dei voli anche perché sin da subito non riceverà più i pezzi di ricambio dei Boeing. La low-cost “Pobeda” è invece sicuramente votata al fallimento visto che tutta la sua flotta era stata leasing con una società finanziaria irlandese che ora ha deciso di risolvere unilateralmente i contratti. Si tratta della perdita di migliaia di posti di lavoro che avranno un effetto anche sul turismo e sull’indotto. La settimana sucessiva è arrivata poi una vera e propria mazzata sul comparto automobilistico. La storica fabbrica della Wolkswagen ha chiuso i battenti lasciando a casa 3500 lavoratori. La Porsche tedesca ha deciso di chiudere la propria fabbrica di Kaliningrad. Fuori dal mercato russo anche Nissan, Bmw e Austin, tutte vetture costose di grande cilindrata molto amate dai “nuovi ricchi” russi che però determinerà però un disastro per gli operai che lavorano in quelle aziende. Anche la Autovaz, la più grande fabbrica automobilistica di Togliatti (città sul Volga chiamata così in onore al segretario del PCI), con un laconico comunicato ha lasciato a casa i suoi operai fino a data da destinarsi.

Il gigante americano della ristorazione fast-food McDonald ha deciso di chiudere gli 850 ristoranti presenti dal paese e ciò significherà una perdita di 15 mila posti di lavoro anche se il sindaco di Mosca Seregey Sabyanin si è detto pronto ad aprire una cinquantina di fast-food con pasti della cucina russa già nelle prossime settimane. Anche Ikea ha deciso in pochi giorni di svendere i mobili presenti nei suoi magazzini e di chiudere tutti i suoi negozi lasciando a casa ben 1.300 lavoratori.

La svalutazione del rublo che ne è conseguita – quasi del 100% rispetto a euro e dollaro in poche settimane – ha ridotto significativamente le possibilità di acquisto della gente comune visto che la Russia è un’economia votata all’importazione di prodotti finiti. Un esempio per tutti: la Russia import oltre il 70% dei mediciali dall’occidente e anche se i produttori occidentali hanno informato che saranno garantite tutte le medicine essenziali insulina compresa, i prezzi sono destinati ad andare alle stelle: un vero disastro visto che non sono passati gratuitamente dal servizio sanitario nazionale.

Non perdono d’intesità anche le proteste di strada. Ogni giorno in tutta la Russia ci sono mobilitazioni – soprattutto i giovani universitari – per dire no risoluto no alla guerra. Fino ad oggi secondo il portale Ovd-Info dall’inizio dell’operazione militare sono stati fermate 15 mila persone. Molte centinaia di donne e uomini scesi in piazza stanno subendo processi amministrativi e qualche decina purtroppo dovranno subire un processo penale.

In prima fila ovviamente nelle iniziative le metropoli di Mosca e San Pietroburgo ma anche in altre 35 città della Russia grandi e piccole, europee e siberiane ci sono state proteste contro l’intervento in Ucraina. Un onda destinata ad aumentare quando l’aumento l’inflazione diverrà devastante e anche I lavoratori potrebbero mettersi in movimento come è già successo in una fabbrica di Nizhny Novgorod.

La sinistra antagonista e il movimento libertario russo stanno attivamente partecipando alle manifestazioni che attraversano il paese. Lo storico gruppo “Avtonom” che si colloca a metà strada tra l’anarchismo “classico” e il consiliarismo della nuova sinistra, sostiene in un suo volantino distrubuito durante le proteste che bisogna “rifiutare di sottomettersi alla censura militare russa e sostenere apertamente e chiaramente che questa è una guerra. Una guerra d’ivasione condotta dall'esercito russo. Gli ucraini si stanno difendendo con successo con le armi in mano contro gli occupanti, ma noi che ora siamo in Russia non possiamo farci da parte. Dobbiamo dimostrare a noi stessi e al mondo che siamo contro questa guerra, di cui solo Putin e la sua banda ne hanno bisogno. Essere contro la guerra è il vero antifascismo in questo momento". Secondo “Avtonom” il protrarsi del conflitto dimostra che “le autorità russe sono nel panico adesso. Hanno già capito che stanno perdendo la guerra. Ed è per questo che minacciano istericamente i partecipanti alle azioni contro la guerra con l'espulsione, il licenziamento, l'invio immediato nell'esercito o il carcere. Non abbiate paura di loro. Gli ucraini nelle loro città stanno protestando contro gli occupanti a mani nude. Contro i soldati con le mitragliatrici. Contro i carri armati" e chiedono “la fine immediata della guerra. Chiediamo il ritiro immediato e incondizionato delle truppe russe dall'Ucraina. Questa è la condizione principale per ogni ulteriore azione: l'aggressione russa deve cessare (…) Ma dobbiamo anche lottare per il futuro della Russia. Al dittatore pazzo non resta molto tempo: la piccola guerra vittoriosa non è andata secondo i piani e ora è solo una questione di tempo e di mezzi concreti per eliminarlo. Ma cosa succede dopo, dopo Putin? Le province che compongono la "Federazione Russa" si trovano in questo momento a un bivio storico. Il crollo del regime di Putin potrebbe innescare processi di liberazione. Indubbiamente, non porteranno immediatamente a un ideale anarchico - ma almeno la Russia smetterà di essere in guerra con il resto del mondo e la sua stessa popolazione. Tuttavia, un'altra variante di "cosa succede dopo Putin" è anche possibile: una perpetuazione ancora maggiore del regime autoritario, una chiusura completa di tutte le frontiere e una cessazione dei contatti internazionali". Insomma una dittuatura ancora più aperta di quella che già ora i russi sopportano anche se i libertari di Avtonom” restano ottimisti: “L'inv"erno sta per finire. La primavera sta arrivando".

Per gli anarco-sindacalisti del “Kras” che sin da subito hanno rifiutato di farsi arruolare dalla propaganda della Russia e dalla Nato, mobilitandosi dovunque fosse possibile, è ora il tempo di un’analisi dei motivi di fondo del conflitto.

“Prima di tutto – sostengono gli anarcosindacalisti russi - è necessario capire che ci sono diversi livelli di conflitto e diversi livelli di contraddizioni intercapitalistiche. A livello regionale, la guerra di oggi è solo una continuazione della lotta tra le caste dominanti degli stati post-sovietici per la ridivisione dello spazio post-sovietico.

Contrariamente al mito popolare, l'Unione Sovietica è crollata non come risultato dei movimenti di liberazione del popolo, ma come risultato delle azioni di una parte della nomenklatura dominante, che ha diviso territori e zone di influenza tra di loro, quando i metodi abituali e stabiliti del loro governo erano in crisi.

Il secondo livello di conflitto è la lotta per l'egemonia nello spazio post-sovietico tra lo stato più forte della regione, la Russia, che sostiene di essere una potenza regionale e considera l'intero spazio post-sovietico come un'area dei suoi interessi egemonici, e gli stati del blocco occidentale (sebbene anche qui gli interessi e le aspirazioni degli Stati Uniti e dei singoli stati europei della NATO e dell'UE possano non essere esattamente gli stessi). Entrambe le parti cercano di stabilire il loro controllo economico e politico sui paesi dell'ex Unione Sovietica. Da qui lo scontro tra l'espansione della NATO verso est e il desiderio della Russia di assicurare questi paesi sotto la sua influenza. Il terzo livello di contraddizioni è di natura economico-strategica. Non è un caso che la Russia moderna venga chiamata "un'appendice degli oleodotti e del gas". La Russia gioca oggi sul mercato mondiale, prima di tutto, il ruolo di fornitore di risorse energetiche, gas e petrolio”. Per il Kras, malgrado sia necessario battersi contro la “guerra di Putin” non è possibile assumere una posizione “difensivista” a favore dell’Ucraina però, non ci troveremmo in una situazione simile a quella della guerra civile spagnola del 1936-1939. “Dal nostro punto di vista, non c'è e non può esserci paragone con la situazione della guerra civile in Spagna. Gli anarchici spagnoli sostenevano una rivoluzione sociale. Allo stesso modo, non c'è paragone tra, per esempio, il movimento makhnovista in Ucraina e la difesa del moderno stato ucraino. Sì, Makhno ha combattuto contro gli invasori stranieri, austro-tedeschi, e contro i nazionalisti ucraini, e contro i bianchi e, alla fine, contro i rossi. Ma i partigiani makhnovisti combattevano non per l'indipendenza politica dell'Ucraina (alla quale, di fatto, erano indifferenti), ma in difesa delle sue conquiste sociali rivoluzionarie: per la terra dei contadini e la gestione operaia dell'industria, per i soviet liberi. Nella guerra attuale, stiamo parlando esclusivamente dello scontro tra due stati, due gruppi di capitalisti, due nazionalismi.

Non sta agli anarchici scegliere il "male minore" tra loro. Non vogliamo la vittoria di uno o dell'altro. Tutta la nostra simpatia va ai lavoratori comuni che oggi stanno morendo sotto le granate, i missili e le bombe.